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Il testo
Ci sono due idee sulle menti e i cervelli che diamo per assodate. La prima prende origine dalla concezione secondo cui esisterebbe una sorta di scala ascendente delle creature viventi, che vede collocate sui gradini più bassi le creature meno complesse e meno evolute e agli apici quelle più complesse ed evolute. Tale gerarchia si applicherebbe a tutte le strutture dell'organismo, cervello incluso. Vi sarebbe perciò anche una scala ascendente e progressiva delle funzioni mentali, con la sommità occupata dalla nostra specie. La seconda è l'idea che i cervelli servano a darci una rappresentazione veridica della realtà. Le due idee hanno in comune vari aspetti, tra cui quello, ritiene l'autore, di essere entrambe sbagliate. I biologi sanno che per gli organismi viventi non ha alcun significato parlare di specie più o meno evolute. Tutte le specie viventi sono egualmente evolute. I rettili che stanno oggi sulla Terra non sono i medesimi che hanno dato origine ai gruppi indipendenti dei mammiferi e degli uccelli più di 300 milioni di anni fa: anch'essi si sono evoluti rispetto ai loro progenitori ancestrali. L'idea dominante è che l'evoluzione sia una storia di aumento di complessità di strutture che divengono così sempre migliori. E' facile mostrare che le cose non sono così semplici. E' un fraintendimento comune quello per cui l'evoluzione determinerebbe un aumento di ordine e complessità, una tensione verso "il punto Omega", come lo chiamava Teilhard de Chardin. Non è questo il modo in cui la biologia moderna concepisce l'evoluzione. L'evoluzione implica cambiamento, ma non necessariamente progresso. Perciò l'evoluzione per selezione naturale non implica la costruzione di cervelli sempre più complessi, perché non è la complessità di struttura il criterio su cui opera la selezione naturale, bensì la sopravvivenza selettiva e la riproduzione. Chi ha detto che ci si riproduce di più con un cervello più complesso? Questo ci conduce al secondo punto. La complessità della vita mentale è associata tradizionalmente al fatto che gli esseri umani avrebbero una migliore, più completa rappresentazione della realtà. Non c'è dubbio che il confronto tra le diverse specie riveli capacità differenti. Ma gli etologi hanno compiuto grandi progressi nello studio della comunicazione animale quando si sono resi conto della falsità dell'assunto secondo il quale la comunicazione serve a trasmettere informazioni veridiche. In natura la comunicazione animale serve principalmente per ingannare e imbrogliare. La percezione dovrebbe essere considerata alla stessa stregua: le nostre percezioni non sono state plasmate dalla selezione naturale per darci un'immagine veridica del mondo, quanto piuttosto per ingannarci sufficientemente bene da sopravvivere nel mondo.
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